La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 9648 del 6 marzo 2024 ha chiarito che la confisca del profitto del reato tributario può essere disposta dal giudice dell’esecuzione, anche per l’equivalente.

Nel caso di specie in data 11 febbraio 2019 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio aveva disposto il sequestro preventivo di un immobile intestato alla ricorrente fino al limite massimo di 405.731,71 euro, cui era seguito un provvedimento di integrazione del decreto di sequestro preventivo, esteso anche ai saldi giacenti sui conti correnti bancari e postali intestati alla stessa sino al limite massimo di 405.731,71 euro. In data 13 maggio 2021, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio aveva pronunciato una sentenza ex art. 444 c.p.p. in relazione, tra l’altro, a plurimi reati tributari, senza nulla disporre in ordine a quanto in sequestro ed infine in data 13 maggio 2023, la difesa aveva chiesto al giudice dell’esecuzione di dichiarare la perdita di efficacia del sequestro preventivo, non essendo stata disposta la confisca di quanto sequestrato nella sentenza ex art. 444 c.p.p., ma il GIP ordinava la confisca dei beni in sequestro. Il provvedimento è stato impugnato con ricorso per cassazione, riqualificato in giudizio di opposizione ex art. 667 co. 4, c.p.p., conclusosi con il provvedimento impugnato che, pur riducendo il valore beni confiscati, ha confermato la possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di disporre la confisca per equivalente, trattandosi di provvedimento obbligatorio.

La Suprema Corte ha dunque affermato che in sede di esecuzione è consentito, in forza del disposto di cui all’art. 676 c.p.p., disporre la confisca per equivalente del profitto del reato di cui all’art.640-bis c.p., qualora la sentenza irrevocabile di applicazione della pena non vi abbia provveduto, attesa la natura obbligatoria della stessa ai sensi dell’art. 322-ter c.p.

Le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno sottolineato che l’imputato viene ad essere direttamente colpito nelle sue disponibilità economiche (e non nella cosa in quanto derivante dal reato), e ciò perché autore dell’illecito, restando il collegamento tra la confisca, da un lato, ed il prezzo o profitto del reato, dall’altro, misurato solo da un meccanismo di equivalenza economica. L’oggetto della confisca di valore, in assenza del nesso di pertinenzialità col reato, costituisce sola una conseguenza sanzionatoria dello stesso.

Ciò che assume rilievo non è il carattere punitivo della confisca per equivalente, ma la natura obbligatoria della sua applicazione prescritta, con riguardo ai reati tributari, dall’ arft. 12 bis del DLgs. 74/2000, essendo sempre ordinata nel caso di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p.. Trattandosi di una statuizione imposta dalla legge, la confisca, anche per equivalente, può essere disposta anche dal giudice dell’esecuzione secondo l’espressa previsione dell’art. 676 c.p.p..

La natura sanzionatoria/afflittiva (e dunque strettamente personale) della confisca per equivalente rileva sotto altro e differente profilo, nel senso che essa non può essere applicata nei confronti di persona già deceduta. Infatti, diversamente opinando si giungerebbe alla inaccettabile conseguenza della applicazione di una sanzione nei confronti degli eredi, che sono certamente estranei al reato. In caso di morte viene meno il rapporto di titolarità/disponibilità da parte del condannato del bene di valore corrispondente al profitto che ne consente l’ablazione e che deve essere valutato al momento dell’adozione del provvedimento, non avendo la decisione del giudice dell’esecuzione efficacia “retroattiva”: la confisca disposta nei confronti di persona già deceduta colpisce beni che sono ormai nella disponibilità degli eredi.

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