La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.722 del 9 gennaio 2024, è tornata a pronunciarsi sul tema del divieto di patti successori ed ha chiarito che non configura violazione ex art. 458 c.c. l’impegno ad un conguaglio tra fratelli sulle donazioni ricevute dai genitori, concluso al fine di riequilibrare le rispettive posizioni patrimoniali.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso di tre sorelle contro una decisione dei giudici della Corte d’appello di Milano. Con un atto di citazione, il fratello delle ricorrenti aveva chiesto la revoca di una donazione di quote di una s.r.l. che lo stesso aveva disposto in loro favore. Le sorelle, dunque, eccepivano che l’atto con il quale erano state cedute le quote, formalmente intestato come atto di donazione, costituiva in realtà l’esecuzione di un accordo stipulato mediante scrittura privata mediante il quale genitori e figli avevano definito la divisione dei beni. Nella stessa scrittura veniva formalizzato l’impegno del fratello a cedere alle sorelle le quote societarie di cui era titolare allo scopo di riequilibrare le precedenti attribuzioni fattegli dai genitori. A tale deduzione l’attore aveva replicato deducendo la nullità della scrittura privata in quanto conclusa in violazione del divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c.

Il Tribunale di Busto Arsizio aveva definito il giudizio respingendo la domanda dal fratello. In tale sede veniva esclusa la sussistenza dei presupposti per poter qualificare l’atto pubblico come donazione sia perché risultava radicalmente assente in capo al disponente lo spirito di liberalità, sia perché era mancato un effettivo depauperamento dell’attore, poiché, pur essendo le quote formalmente a lui intestate, l’attribuzione patrimoniale proveniva dai genitori ed aveva la finalità di riequilibrare precedenti attribuzioni fatte al medesimo dagli stessi. La Corte d’appello, dunque, concordava con i giudici di primo grado laddove negavano la natura di donazione del suddetto atto pubblico collegato funzionalmente alla scrittura privata sottoscritta per realizzare un progetto divisionale del patrimonio dei genitori, ma riteneva che quest’ultima venisse ad integrare un patto successorio, avendo le parti stipulato l’intesa in qualità di aventi diritto ad una successione non ancora aperta.

Secondo la Suprema Corte, per stabilire se una determinata pattuizione sia nulla ex art. 458 c.c., occorre accertare se il vincolo giuridico con essa creato abbia costituito, modificato, o estinto diritti relativi ad una successione non ancora aperta; se i beni oggetto dell’accordo siano stati considerati dai contraenti facenti parte della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; se il promittente abbia inteso provvedere della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi; se l’acquirente abbia contrattato come avente diritto alla successione stessa ed infine se il trasferimento debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato.

La Corte d’appello di Milano, nell’affermare il contrasto della scrittura privata con l’art. 458 c.c. non risulta avere fatto buon governo. Detta Corte ha infatti ritenuto di ricondurre la scrittura all’ambito dei patti successori poiché le pattuizioni in essa contenute miravano ad operare un riequilibrio tra le posizioni patrimoniali di figli dopo che solo alcuni di essi avevano ricevuto donazioni da parte dei genitori, concludendo che con tale riequilibrio si era mirato ad operare una ripartizione anticipata delle quote ereditarie tra i futuri aventi diritto. La Corte territoriale ha infatti omesso di verificare se i promittenti genitori avessero inteso provvedere della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi e, dall’altro lato, se il trasferimento, dal promittente al promissario, avesse luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato, dovendosi osservare, anzi, che la stessa scrittura, pur riconducendo ai genitori – e non all’odierno controricorrente, formale titolare – il promesso trasferimento delle quote della società, veniva a qualificare lo stesso come donazione e non come attribuzione mortis causa. La Corte d’appello di Milano non ha quindi verificato se le attribuzioni contemplate nella scrittura mirassero più semplicemente ad operare un riequilibrio delle posizioni patrimoniali unicamente in considerazione delle donazioni già conseguite da alcuni dei figli, e senza in alcun modo inserire funzionalmente tale riequilibrio nell’ambito della futura successione di ciascuno dei genitori, profilo, quest’ultimo, che anzi non appare in alcun modo desumibile in modo inequivoco dal tenore della scrittura stessa.

L’impegno assunto da fratelli, d’intesa con i genitori, non viola quindi il divieto di patti successori, in quanto non viene ad investire i diritti spettanti sulla futura successione mortis causa del genitore e non trova in quest’ultima il suo presupposto causale.

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