Lo studio n. 69-2023/T del Consiglio nazionale del Notariato, diffuso il 6 dicembre scorso, ha esaminato gli effetti dalla costituzione di un trust ai fini dell’IVA.

Tale studio si prefigge di ricercare alcuni punti di riferimento in merito alla controversa questione della soggettività passiva del trust per l’imposta sul valore aggiunto e, più in generale, in relazione all’applicabilità del tributo in questione nella particolare fattispecie.  In occasione dell’introduzione dei trust fra i soggetti passivi IRES, non è stato infatti integrato il DPR 633/72 e le indicazioni di prassi sul punto sono assai scarne e risalenti, atteso che nei recenti indirizzi operativi diramati la questione non è stata affrontata. L’Amministrazione finanziaria si è infatti limitata ad indicare che, qualora il trust eserciti attività imprenditoriale, dovrà dotarsi di autonoma partita iva.

Il Consiglio Nazionale del Notariato ha chiarito che l’IVA risulta applicabile, ove ne ricorrano i presupposti, anche in relazione agli atti compiuti durante la vita del trust. Secondo il Notariato, infatti, per quanto concerne gli atti di segregazione in trust, sono esclusi da IVA gli atti che sono posti in essere dal disponente, che non opera nell’esercizio d’impresa, anche se questo possiede la qualifica di imprenditore, sempre che i beni conferiti nel trust siano di carattere personale e quindi estranei alla sua sfera imprenditoriale, mentre se il trasferimento riguarda beni relativi all’impresa è soddisfatto il presupposto oggettivo dell’IVA.

Lo Studio del Notariato prosegue quindi esaminando anche gli atti compiuti nel corso della durata del trust. Nel caso di un trust, ai fini della soggettività passiva è il trust stesso e non il disponente o il trustee, a svolgere un’attività commerciale per il tramite dei beni a lui conferiti (circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/2022). Dunque, tutti gli atti dispositivi effettuati durante la vita del trust devono essere riconducibili ad una sua autonoma Partita IVA ed il trattamento IVA delle operazioni compiute dipenderà dal singolo caso concreto.

Secondo la giurisprudenza, invece, il trust non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità ed il trustee è l’unico soggetto legittimato a operare. Seguendo quest’ultima interpretazione, a rilevare sarebbe la posizione soggettiva del trustee e quindi le operazioni compiute dal trustee stesso non assumerebbero rilievo ai fini IVA se egli sia una persona fisica che opera al di fuori dell’esercizio d’impresa. La Corte di cassazione ha invece affermato che l’unica operazione rilevante ai fini IVA è da riferirsi al disponente.

Il Notariato, criticando tali orientamenti giurisprudenziali, osserva che non è determinante individuare il soggetto passivo nel trust o nel trustee, poiché è l’esercizio dell’attività d’impresa con i beni segregati a qualificare le eventuali operazioni effettuate come rilevanti ai fini IVA.  Richiamando la sentenza della Corte di Giustizia, causa C-155/94 (Wellcome Trust), si dovrebbe dunque concludere che l’attività del trustee è riconducibile al trust che assumerebbe il ruolo di soggetto passivo.

Sono state infine esaminate le interferenze dell’IVA e dell’imposta di successione e donazione rispetto all’eventuale devoluzione dei beni d‘impresa ai beneficiari finali. 

Si tratta di ipotesi di trust liberali, dovendosi escludere in altri casi l’applicazione dell’imposta sulle successioni e le donazioni. Si è in generale osservato in merito al regime delle liberalità inter vivos nell’IVA che la disposizione non rientrante nell’attività d’impresa è evidentemente incompatibile con il mantenimento della destinazione a “bene relativo all’impresa” ed implica pertanto un precedente atto organizzativo che effettua la diversa destinazione e, in questi casi, analogamente all’imposta sul reddito, opera la clausola della “destinazione a finalità estranee dell’esercizio di impresa”. 

Gli stessi atti possono altresì rilevare quali alienazioni a titolo gratuito rientranti nell’esercizio di impresa, dando luogo ad operazioni imponibili ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 4, DPR n. 633/1972, poiché si tratta di atti che determinano comunque un passaggio al consumo, come tale integrante l’operazione imponibile.  Quindi, l’attribuzione ai beneficiari finali effettuata alla fine della vita del trust difficilmente potrà qualificarsi come atto gratuito rientrante nell’attività d’impresa, ove la devoluzione abbia ad oggetto gli stessi beni d’impresa, implichi la cessazione dell’attività e comporti dunque la destinazione dei beni stessi a finalità estranee. 

D’altro canto, la stessa fattispecie appare rilevante per il tributo successorio, che dovrà essere applicato all’atto della devoluzione secondo i criteri ormai acquisiti in giurisprudenza e nella prassi.  Il regime IVA delle cessioni gratuite potrebbe più facilmente venire in considerazione nel caso di attribuzioni effettuate durante la vita del trust, in costanza dell’attività d’impresa e ove sia riscontrabile l’inerenza dell’atto all’attività stessa.

Consulta lo studio completo del Consiglio Nazionale del Notariato.