La Corte di Cassazione con la sentenza n. 11467 dell’8 aprile 2022 ha stabilito il principio secondo cui, ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta sulle successioni e donazioni relativamente ad azioni o quote di società comprese nell’attivo ereditario, deve essere riconosciuta anche al contribuente, oltre che all’Agenzia delle Entrate, la possibilità di offrire prova contraria rispetto al criterio legale delle risultanze contabili dell’ultimo bilancio approvato, potendo altresì provare la sussistenza di eventi sopravvenuti all’approvazione e antecedenti al decesso che abbiano mutato quei valori.

Caso in esame

Nel caso di specie il ricorrente censurava la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte per aver escluso che potesse essere offerta, anche allo stesso, la prova della inattendibilità dei bilanci e quindi di poter utilizzare un valore alternativo delle quote di partecipazione societaria cadute in successione, determinato sulla base di una perizia di stima attestante l’inattendibilità delle scritture contabili della società successivamente ammessa a concordato preventivo.

Il contribuente inoltre lamentava che l’Agenzia delle Entrate, per determinare la base imponibile dell’imposta di successione, avesse utilizzato documenti diversi da quelli indicati dalla norma, ed in particolare una situazione contabile della società al momento della dichiarazione di successione invece dell’ultimo bilancio approvato prima del decesso del de cuius.

Ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 346/1990 – Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni – la base imponibile delle quote sociali comprese nell’attivo ereditario è determinata proporzionalmente in base patrimonio netto della società risultante
dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti.

In mancanza del bilancio o dell’inventario, il valore della partecipazione viene quantificato in base al valore complessivo dei beni e dei
diritti appartenenti alla società “al netto delle passività risultanti a norma degli articoli da 21 a 23, escludendo i beni indicati
alle lettere h) e i) dell’art. 12”.

La Corte di Cassazione, facendo riferimento a precedenti sentenze, ricorda che “il valore del patrimonio netto risultante dal bilancio approvato è vincolante per la parte e per l’amministrazione finanziaria, cui è preclusa un’autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti della società al netto delle passività, potendo essa procedere solo all’eventuale attualizzazione delle poste attive e passive ritenute infedelmente rappresentative del patrimonio netto attuale dell’ente, a causa di possibili mutamenti intervenuti tra la data di approvazione del bilancio e la morte del socio”.

Secondo la Suprema Corte quindi “in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost., deve essere riconosciuta anche al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, la possibilità sia di offrire prova contraria rispetto al criterio legale del dato contabile risultante dal bilancio approvato, sia di provare la sussistenza di eventi sopravvenuti all’approvazione ed antecedenti al decesso, che abbiano mutato quei valori.

Con riferimento invece alla situazione contabile utilizzata dall’Agenzia delle Entrate, la Corte ha ritenuto che il dettato normativo consenta certamente all’Amministrazione di fare riferimento a mutamenti successivi all’approvazione del bilancio, purché antecedenti all’apertura della successione.

Dunque, non possono essere utilizzate risultanze tratte da documenti diversi dall’ultimo bilancio ed antecedenti alla sua approvazione, ma possono esserlo quelle desunte da documenti diversi ma successivi.

La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte non ha dunque applicato correttamente suddetti principi escludendo in assoluto che fosse possibile discostarsi dal dato normativo, ritenendo che il valore determinato secondo il criterio ivi indicato non fosse suscettibile di prova contraria sia da parte dell’amministrazione che da parte del contribuente, ed omettendo quindi di esaminare le prove contrarie offerte dalla ricorrente.

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