La Corte di Cassazione – Sezione Penale con la sentenza n. 4456, depositata il 9 febbraio 2022, ha chiarito che non è confiscabile l’immobile donato ai figli se non vi è prova che si tratti di un trasferimento fittizio, volto a sottrarre garanzie in danno dell’erario.

Nel caso in esame il legale rappresentante di una società era ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 per avere omesso il versamento di somme dovute dalla società a titolo di IVA.
Contestualmente si disponeva la confisca per l’equivalente di alcuni immobili donati, in un momento antecedente a quello nel quale veniva disposto il sequestro preventivo, dallo stesso ai propri figli, estranei rispetto al reato commesso.

Il ricorrente lamentava quindi di non essere proprietario dei beni oggetto del provvedimento di confisca e che i giudici non avessero dimostrato alcuna natura fittizia ed apparente della donazione a favore di terzi estranei al reato.

La Corte di Cassazione in prima battuta ha ribadito che per i reati tributari è sempre ordinata la confisca diretta del prezzo o del profitto o, quando ciò non sia possibile, per equivalente.

La confisca non può però aggredire beni di un terzo estraneo al reato o dei quali lo stesso condannato non abbia disponibilità, quest’ultima intesa non come formale titolarità ma come concreta relazione con il bene stesso.

La definizione di disponibilità ai fini penali non coincide con quella civilistica di proprietà ma con quella di possesso, includendo così tutte le situazioni nelle quali il bene si trovi nella sfera degli interessi economici del reo, ricomprendendo quindi tutte quelle situazioni in cui il potere dispositivo viene esercitato tramite soggetti terzi ma in concreto è in capo al reo stesso.

La Suprema Corte, abbracciando la tesi del ricorrente, ha ritenuto che lo stesso abbia realmente ceduto il bene, senza averne mantenuto alcuna effettiva disponibilità e che il giudice di merito abbia agito escludendo a priori la buona fede del donante, fondando la sua decisione solo sul rapporto di parentela e senza il supporto di adeguate indagini.

Secondo la stessa Corte, infatti, “si tratta di una ipostasi meramente assertiva priva di ampia affidabilità, posto che il cedente potrebbe avere realmente ceduto il bene, senza averne mantenuto alcuna effettiva disponibilità solo al fine di preferire a quella dell’Erario la posizione economica di altro soggetto; condotta questa in esito alla quale non ci sarebbero gli elementi per ritenere sussistere le condizioni per procedere, secondo i termini di cui al citato D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis alla confisca per equivalente di un valore pari all’importo del profitto o del prezzo conseguiti tramite la commissione del reato”.

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