L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 675 pubblicata il 7 ottobre 2021, ha chiarito che il costo fiscalmente riconosciuto per la determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di titoli detenuti all’estero, pervenuti per successione dal de cuius non residente, è il costo sostenuto per l’acquisto dal de cuius stesso e non il valore normale dei titoli alla data di apertura della successione.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, infatti, in questo caso non può applicarsi quanto contenuto nell’art. 68 comma 6 del TUIR, che prevede la valorizzazione al valore normale per i titoli esenti dall’imposta di successione.

Nel caso in esame, l’istanza ha ad oggetto il trattamento da applicare alla tassazione delle plusvalenze relative a titoli emessi da società estere, depositati all’estero, intestati ad un non residente, trasferiti per successione ad un soggetto residente e non assoggettati ad imposta di successione per carenza del requisito della territorialità ai sensi di quanto stabilito dall’art. 2 del D.Lgs. 346/90 (TUS).

L’art. 2, comma 2 del D.Lgs. 346/90 dispone che se alla data di apertura della successione il defunto non era residente in Italia, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni ed ai diritti ivi esistenti.

Pertanto, con riferimento a tali titoli esteri deve essere assunta l’assenza del presupposto per l’applicazione dell’imposta sulle successioni in Italia.

Ai sensi dell’art. 68, comma 6, del TUIR, «le plusvalenze indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter) dell’articolo 67 sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma e il valore normale dei beni rimborsati ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente la loro produzione, compresa l’imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi. Nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione».

Tale norma prevede quindi, per i titoli esenti dall’imposta di successione, la valorizzazione al valore normale.

Secondo l’Agenzia però questa conclusione deve essere limitata ai casi di esenzione in senso tecnico e non si estende invece alle situazioni in cui i beni siano al di fuori del campo di applicazione dell’imposta per carenza del requisito di territorialità.

Pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate, rileva il motivo per cui il bene ereditato non ha scontato l’imposta di successione, potendosi ritenere applicabile il disposto dell’art. 68, comma 6, del TUIR ai soli casi in cui tali beni siano risultati esentati dall’imposta di successione per espressa disposizione normativa (come, ad esempio, nel caso delle fattispecie regolate dall’art. 3 comma 4-ter del d.lgs. 346/1990) e non, anche, ai casi in cui tali beni non siano stati assoggettati ad imposta di successione in quanto fuori del campo di applicazione di tale imposta per carenza del requisito di territorialità.

Quindi, nella fattispecie in esame non è possibile applicare la disposizione contenuta nell’articolo 68, comma 6 laddove è stabilito che «si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione», ma si deve assumere come “costo” il “costo sostenuto” dal de cuius; in quanto il mancato assoggettamento all’imposta sulle successioni fa venir meno il presupposto per consentire la “rivalutazione” della partecipazione ereditata.

Leggi la risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate: