La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22571 del 10 agosto 2021, ha affermato che l’accettazione con beneficio d’inventario da parte degli eredi non preclude all’amministrazione finanziaria di accertare l’obbligazione tributaria del de cuius e, quindi, l’”an ed il quantum debeatur“, fermo restando che la pretesa esecutiva dovrà essere compiuta tenendo conto della responsabilità entro il valore del patrimonio caduto in successione.

Caso in esame

Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato agli eredi un avviso di accertamento con il quale aveva rettificato una dichiarazione dei redditi presentata dal de cuius, ritenendo non legittima una variazione in diminuzione comportante l’azzeramento della plusvalenza realizzata sulla cessione di una farmacia, ricevuta dallo stesso con una donazione modale.

La Suprema Corte ricordando che, ai sensi dell’art. 490, cod. civ. «L’effetto del beneficio di inventario consiste nel tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede» e che «l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti» osserva che l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario non determina di per sé sola il venir meno della responsabilità patrimoniale degli eredi per i debiti anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto di questi ultimi a non risponderne al di là del valore dei beni ricevuti.

Occorre quindi in questo caso valutare se l’erede che ha accettato con beneficio d’inventario possa o meno far valere l’interesse alla separazione del patrimonio ereditario con il proprio in sede di proposizione del ricorso avverso l’avviso di accertamento notificatogli per il pagamento dei debiti del de cuius.

Più precisamente, bisogna differenziare tra la pretesa fatta valere con l’avviso di accertamento e quella conseguente alla notifica della cartella di pagamento.

Il primo atto ha natura impositiva, e con lo stesso l’Agenzia delle Entrate identifica il soggetto legittimato passivo e l’importo che si si ritiene debba essere corrisposto.

L’eventuale contestazione da parte dell’erede dell’avvenuta accettazione dell’eredità con beneficio di inventario e, quindi, della limitazione della propria responsabilità entro i limiti del patrimonio ereditario, non attiene al giudizio con il quale si contesta la legittimità della pretesa fatta valere con l’avviso di accertamento.

La cartella di pagamento invece costituisce l’atto di riscossione con il quale l’Amministrazione Finanziaria determina la pretesa esecutiva ed è solo in sede di impugnazione di questa che l’erede può denunciare, oltre che l’irregolarità formale, anche il diritto a procedere esecutivamente, facendo valere l’incapienza del patrimonio ereditario a far fronte ai debiti tributari e rimettendo la decisione al giudice tributario.

Conclusione

In conclusione, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale che aveva ritenuto infondata la lamentata violazione del diritto di difesa dei ricorrenti, condividendone l’orientamento sotto la triplice direttiva: «a) del diritto a contestare, con azione di accertamento negativo, l’esistenza del diritto di procedere in executivis per ragioni di merito; b) del pregiudizio conseguente alla applicabilità del principio del solve et repete; c) del limite a far valere le proprie ragioni in sede di opposizione all’esecuzione, state la previsione contenuta nell’art. 57, d.P.R. n.602/1973».

In ambito tributario quindi l’accettazione con beneficio d’inventario va opposta non nel ricorso contro l’avviso d’accertamento bensì contro la cartella di pagamento.

Leggi l’ordinanda della Corte di Cassazione: