1. Premessa
La sentenza della Corte di Cassazione n. 18252/2025 affronta il tema, di particolare rilevanza in materia tributaria, del rapporto tra chiamata all’eredità ed accettazione, con specifico riguardo all’imposta di successione. La decisione si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato che distingue le regole civilistiche da quelle fiscali, riaffermando la centralità della delazione ereditaria quale momento impositivo.
2. I fatti di causa
La controversia trae origine da una vicenda successoria caratterizzata dalla morte quasi contestuale di due fratelli. Alla morte della de cuius, il fratello – deceduto il giorno successivo – non ebbe modo di accettare l’eredità. Gli eredi del fratello sostennero pertanto che la quota non si fosse mai trasferita a quest’ultimo, ma fosse devoluta direttamente a loro in quanto chiamati iure proprio.
Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano accolto tale tesi, escludendo l’assoggettamento ad imposta derivante dalla duplice delazione.
3. La questione giuridica
La Corte di cassazione era chiamata a stabilire se, ai fini dell’imposta sulle successioni, l’obbligazione tributaria sorga in virtù della chiamata all’eredità ovvero solo a seguito della relativa accettazione. In particolare, se la morte quasi contestuale del chiamato, privo di accettazione, escluda l’imposizione in capo agli eredi del medesimo.
4. Il principio affermato dalla Corte
Richiamando gli artt. 7, 28 e 36 del d.lgs. n. 346/1990, la Suprema Corte ha ribadito che:
– presupposto dell’imposizione non è l’acquisto della qualità di erede, ma la sola chiamata all’eredità;
– anche in caso di successione non ancora accettata, i chiamati sono obbligati alla dichiarazione e, se in possesso dei beni, rispondono delle imposte nei limiti del valore posseduto;
– la disciplina tributaria opera dunque in deroga rispetto ai principi civilistici, in quanto finalizzata a garantire certezza e tempestività nella riscossione.
Il principio di diritto enunciato recita: «In tema di imposta sulle successioni, presupposto dell’imposizione tributaria è la chiamata all’eredità e non già l’accettazione. Ne consegue che, allorché la successione riguardi anche l’eredità devoluta al dante causa e da costui non ancora accettata, l’erede è tenuto al pagamento dell’imposta anche relativamente alla successione apertasi in precedenza, la cui delazione sia stata a lui trasmessa ai sensi dell’art. 479 c.c.»
5. Rilievi sistematici
La pronuncia conferma l’impostazione secondo cui, in materia fiscale, il legislatore ha scelto un criterio oggettivo di tassazione, sganciato dall’effettiva assunzione della qualità di erede. La delazione costituisce momento sufficiente a radicare l’obbligazione tributaria, salvo le specifiche eccezioni normative (rinuncia tempestiva, nomina di curatore, beneficio d’inventario).
Ne consegue che situazioni di “doppia delazione” – come nel caso di morte pressoché contemporanea di chiamato e de cuius – possono dar luogo a duplice imposizione successoria, con effetti che, pur discutibili sul piano dell’equità, risultano coerenti con la lettera della normativa vigente.
6. Considerazioni conclusive
La sentenza in commento ribadisce la linea di continuità della giurisprudenza di legittimità in tema di successioni e imposta correlata, tracciando un confine netto con la disciplina civilistica. Per il professionista tributario, l’arresto conferma l’importanza di distinguere tra profili successori sostanziali e presupposti impositivi, ai fini sia dell’assistenza nella fase dichiarativa sia della pianificazione ereditaria.