La terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19603 del 10 maggio 2023 ha chiarito che configura reato di sottrazione fraudolenta alle pretese erariali il conferimento in un fondo patrimoniale di beni immobili in comunione tra coniugi con successiva donazione di parte di essi al figlio, laddove l’esistenza e l’entità del debito si ricavino da accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza e siano desumibili dalla notificazione di cartelle esattoriali. Tali atti negoziali, tra loro concatenati e privi di reale giustificazione economica, sono oggettivamente idonei a eludere la procedura di riscossione coattiva o, comunque, a renderla più difficoltosa.

Nel caso in oggetto, il ricorrente era stato condannato dal Tribunale di Belluno e poi dalla Corte d’Appello di Venezia per aver commesso atti fraudolenti sui beni in comunione con la propria moglie, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi. In particolare, aveva costituito un fondo patrimoniale e dopo la notifica di due cartelle esattoriali aveva donato al figlio alcuni beni immobiliari conferiti in tale fondo. Il ricorreva dunque sosteneva di possedere altre disponibilità patrimoniali a soddisfacimento delle pretese erariali e lamentava la mancata dimostrazione del debito, specificando di non essere inoltre consapevole del suo importo al momento del compimento degli atti in questione.

La Suprema Corte ha dapprima ricordato che l’art. 11 del D.lgs. n. 74 del 2000 sanziona la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni relativi a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Al fine della configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta, è sufficiente l’esistenza di una ragione di credito dell’Agenzia delle Entrate, non essendo necessario l’effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale. L’azione criminosa quindi si concretizza nel “compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei – secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario – a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria”.

Si devono dunque ritenere fraudolenti tutti quegli atti o comportamenti, anche formalmente leciti, che sono connotati da elementi di inganno ed artificio idonei a rappresentare ai terzi una realtà non veritiera, avvantaggiando la sottrazione di garanzie patrimoniali all’esecuzione.

Nel caso di specie tale sottrazione è stata realizzata attraverso la concatenazione di atti negoziali privi di reale giustificazione. La sottrazione è stata realizzata quando l’esistenza del debito erariale e la sua consistenza (superiore alla soglia di punibilità) erano già desumibili da accertamenti svoti dalla Guardia di Finanza da una denuncia dell’Agenzia delle Entrate. Gli atti posti in essere, volti a sottrarre i beni al soddisfacimento delle ragioni erariali, o comunque, a renderle più difficoltose, salvaguardavano il patrimonio familiare, prima apponendovi un vincolo di destinazione e poi trasferendone al figlio a titolo gratuito una parte, in assenza di apprezzabili ragioni economiche, allo scopo dichiarato dal ricorrente medesimo di tutelare gli interessi dello stesso figlio.

È quindi potenzialmente fraudolenta la condotta di chi costituisce un fondo patrimoniale, vincolando i beni immobili in esso contenuti, per poi trasferirli ai figli in forma di donazione, al fine di ostacolare l’azione di riscossione dell’amministrazione finanziaria. La donazione, dunque, può configurare un’attività fraudolenta, se attuata al fine di sottrarre dei beni dalle ragioni erariali o, comunque, con il fine di renderle più difficoltose.

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