La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5777 del 24 febbraio 2023, ha chiarito che il soggetto legittimario che sia stato integralmente escluso dal testamento non è obbligato a pagare l’imposta sulle successioni.

Nel caso in esame, l’attore aveva proposto ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano avverso un avviso di liquidazione relativo ad un’imposta sulle successioni, il cui pagamento gli era stato richiesto nella sua qualità di erede.

Il padre del ricorrente, il de cuius, nel proprio testamento aveva indicato come erede universale la seconda moglie ed aveva attribuito alla figlia un legato ed una donazione, non prevedendo alcuna attribuzione a favore del figlio. Quest’ultimo, pretermesso integralmente dalla successione del padre, aveva rinunciato ad impugnare il testamento.

Ciò nonostante, aveva ricevuto un avviso di liquidazione dell’imposta di successione ai sensi e per gli effetti di quanto stabilito dall’art. 36 comma 3 del D. Lgs. 346/90.

Secondo tale previsione normativa, “fino a quando l’eredita’ non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredita’, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti”.

Il ricorrente, dunque, aveva dimostrato di non essere erede, che nel suo patrimonio non era mai entrato nulla dall’eredità e che la solidarietà fra eredi non poteva essere estesa a chi erede non era.

L’Agenzia delle Entrate lamentava quindi che la Commissione Tributaria Regionale non avesse considerato “che la rinuncia ai propri diritti successori da parte del contribuente si ponesse in rapporto di sinallagmaticità con la rinuncia all’azione di riduzione operata dalle altre due legittimarie, così configurandosi come atto di cessione dei diritti successori, rilevante quale accettazione tacita di eredità”.

In ambito fiscale, diversamente da quanto accade in ambito civilistico in cui l’acquisto della qualità di erede è legata all’accettazione del chiamato, la soggettività passiva all’imposta di successione è correlata alla chiamata all’eredità.

Tuttavia, secondo la Suprema Corte, se è vero che la soggettività passiva tributaria è correlata alla chiamata all’eredità, è altrettanto vero che l’accettazione e, inversamente, la rinuncia, rilevano ai fini tanto della soggettività passiva che della sussistenza del presupposto d’imposta.

Il legittimario del tutto pretermesso mediante un testamento non è chiamato all’eredità: diviene infatti erede solo a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione o di annullamento del testamento.

La rinuncia all’azione di riduzione o di annullamento da parte del legittimario diverge dunque dalla semplice rinuncia all’eredità, non potendo il pretermesso essere qualificato chiamato all’eredità prima dell’accoglimento dell’azione di riduzione volta a rimuovere l’efficacia delle disposizioni testamentarie lesive dei suoi diritti.

In virtù del medesimo principio, i creditori del legittimario pretermesso non potranno agire al fine di essere autorizzati ad accettare per conto dell’erede rinunciante. Il legittimario, per la medesima ragione, non potrà ricorrere né alla rinuncio traslativa ex art. 477 del c.c. né a quella verso corrispettivo di cui all’art. 478 c.c.

L’imposta di successione non può, dunque, essere richiesta al legittimario che ha rinunciato all’azione di riduzione poiché lo stesso non ha mai acquistato la qualità di chiamato all’eredità.

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