Premessa
Con la sentenza n. 22613 del 5 agosto 2025, la Corte di Cassazione ha affrontato nuovamente la delicata questione della qualificazione giuridica del versamento di somme di denaro su un conto corrente cointestato tra coniugi. Il tema presenta risvolti di rilievo sia sotto il profilo successorio sia nella gestione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, soprattutto quando si discute della configurabilità di una donazione indiretta e delle conseguenze in termini di collazione.

La pronuncia in esame offre chiarimenti sull’individuazione dell’animus donandi e sul relativo onere della prova, ribadendo che l’intenzione di liberalità non può essere presunta sulla sola base della cointestazione.


La vicenda fattuale
Il caso trae origine da una controversia successoria tra il marito in seconde nozze della defunta, e il figlio di primo letto della stessa.

La defunta aveva venduto un immobile di sua esclusiva proprietà, versando l’importo ricavato su un conto corrente cointestato con il coniuge. Successivamente, le somme erano state reinvestite in titoli e fondi, anch’essi intestati congiuntamente. Alla morte della donna, il marito ha promosso azione di scioglimento della comunione ereditaria. Il figlio ha eccepito che quel versamento costituiva una donazione indiretta in favore del coniuge superstite, chiedendone la collazione nell’asse ereditario, oltre a un risarcimento per il mancato godimento dei beni.

Il Tribunale ha respinto la domanda, rilevando che durante i 37 anni di matrimonio anche il marito aveva effettuato versamenti significativi sul medesimo conto, e che le somme erano state utilizzate nell’interesse della famiglia. La Corte d’Appello ha confermato questa decisione, ritenendo mancante la prova dell’intento di arricchire il marito. Da qui il ricorso per Cassazione.


La questione giuridica
Il nodo centrale della controversia riguarda la qualificazione del versamento:

  • il figlio sosteneva che il deposito sul conto cointestato costituisse un trasferimento patrimoniale a titolo gratuito e, quindi, una donazione indiretta soggetta a collazione;
  • il marito negava tale impostazione, affermando che le somme erano state destinate alla gestione familiare, come da prassi consolidata tra i coniugi.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a stabilire:

  1. se il semplice versamento su un conto cointestato possa costituire prova di liberalità,
  2. e quale sia l’onere probatorio gravante sulla parte che invoca la donazione indiretta.

Le motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha confermato l’impostazione dei giudici di merito, respingendo il ricorso e chiarendo i seguenti principi:

Necessità dell’animus donandi
Il deposito di somme personali su un conto cointestato può costituire donazione indiretta, ma solo se si dimostra l’esistenza dell’intento di arricchire l’altro coniuge, con correlativo depauperamento del patrimonio del disponente.

L’elemento soggettivo è dunque essenziale e non può essere presunto dal solo fatto della cointestazione o dall’esistenza del rapporto coniugale.

Onere della prova
Grava sulla parte che invoca la natura liberale l’onere di fornire la prova dell’intento di donare. Nel caso concreto, il figlio non ha dimostrato che la madre volesse trasferire pro quota la proprietà delle somme al marito. Al contrario, è emerso che entrambi i coniugi avevano versato, nel tempo, rilevanti somme sul conto, seguendo una prassi consolidata finalizzata al sostegno della famiglia.


Funzione del conto cointestato
La Corte ha precisato che la cointestazione, di per sé, non attribuisce automaticamente la comproprietà delle somme. Essa può rappresentare soltanto una modalità gestionale, volta a garantire la disponibilità dei fondi per le spese comuni, senza effetti traslativi immediati.


Effetti sulla collazione e sulla gestione successoria
Non avendo il figlio assolto l’onere probatorio, la richiesta di collazione è stata respinta. La Corte ha inoltre chiarito che:

  • non vi è stata mala gestio da parte del marito nella gestione degli investimenti, le cui perdite erano dovute a fattori di mercato;
  • le spese processuali, in base al principio di soccombenza, sono state poste a carico del ricorrente, anche per il precedente giudizio di legittimità, in considerazione dell’esito finale della lite.

Considerazioni conclusive
La sentenza ribadisce un orientamento consolidato: il versamento su un conto cointestato non equivale automaticamente a donazione indiretta. Per i professionisti, il punto cruciale è la necessità di un’accurata attività probatoria per dimostrare la volontà di liberalità, che deve emergere chiaramente da comportamenti, dichiarazioni o altri elementi concreti.

Sul piano pratico:

  • in sede successoria, chi intende chiedere la collazione deve predisporre prove circostanziate dell’intento di donare;
  • per la pianificazione patrimoniale, è opportuno chiarire contrattualmente la destinazione delle somme versate su conti cointestati, prevenendo future contestazioni.

Principio di diritto
Il deposito di somme personali su un conto corrente cointestato tra coniugi non costituisce, di per sé, donazione indiretta. Tale qualificazione richiede la prova dell’animus donandi in capo al disponente, onere che grava su chi deduce la liberalità, non essendo sufficiente la mera cointestazione o la destinazione dei fondi alla gestione familiare.

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