Il tema della qualificazione fiscale dei trust esteri continua a essere di grande attualità e complessità, soprattutto quando entrano in gioco ordinamenti giuridici differenti, come quello statunitense e quello italiano. La recente risposta a interpello n. 239 del 2025 offre l’occasione per approfondire un caso particolare, che ha visto protagonista un trust di diritto californiano con beneficiari residenti in Italia. La vicenda è interessante perché tocca due questioni di rilievo: la possibilità che il trust sia considerato interposto ai fini fiscali e la sua classificazione come opaco o trasparente.

Un trust con caratteristiche peculiari.
Il trust era stato istituito in California da un cittadino americano che, sin dall’inizio, aveva mantenuto un controllo pressoché totale sulla struttura. Egli, infatti, ricopriva contemporaneamente tre ruoli: disponente (settlor), primo trustee e primo beneficiario.
L’atto costitutivo gli attribuiva poteri molto ampi, tra cui la possibilità di revocare o modificare liberamente il trust, nonché di gestirne i beni senza alcuna limitazione, fino al momento della sua morte.
Proprio per la concentrazione di poteri nella sua persona, la normativa statunitense qualificava inizialmente la struttura come “grantor trust”, ossia un trust interposto, con tassazione diretta in capo al disponente.
In questa prima fase, quindi, tutti i redditi prodotti dal trust venivano dichiarati dal disponente nella sua personale dichiarazione dei redditi.

Il cambiamento dopo la morte del disponente.
La situazione è radicalmente mutata al momento del decesso del disponente. Secondo la disciplina americana, con la sua morte il trust ha perso la caratteristica di revocabilità ed è diventato un “non-grantor trust”, ossia irrevocabile, immodificabile e con un nuovo trustee nominato per la gestione.
Il nuovo trustee era una persona fisica non residente in Italia, che figurava anche tra i beneficiari finali. È importante sottolineare che i beneficiari italiani non avevano alcun rapporto di parentela, amicizia o natura professionale con lui.
In questa nuova configurazione, la normativa americana considera il trust opaco, con tassazione diretta dei redditi in capo al trust stesso. Tuttavia, i beneficiari italiani hanno chiesto all’Agenzia delle Entrate come il trust dovesse essere trattato secondo la disciplina fiscale italiana, sollevando due domande cruciali: se il trust possa essere considerato interposto anche in Italia e se debba essere classificato come opaco o trasparente.

Il ragionamento dell’Agenzia: esclusa l’interposizione.
Per prima cosa, l’Agenzia ha valutato la questione dell’interposizione. In Italia, un trust viene considerato interposto quando i beneficiari esercitano un potere di fatto sulla gestione dei beni, tale da svuotare di significato l’attività del trustee.
Nel caso specifico, dopo la morte del disponente, il nuovo trustee aveva poteri ampi e autonomi nella gestione, la possibilità di decidere le modalità operative di distribuzione e poteva essere rimosso o sostituito solo da un tribunale. I beneficiari italiani, invece, non disponevano di alcun potere di ingerenza nella gestione.
Sulla base di questi elementi, l’Agenzia ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per parlare di trust interposto, conferendo quindi piena rilevanza giuridica alla struttura ai fini fiscali italiani.

Trust opaco o trasparente?
Il secondo passaggio riguarda la qualificazione tra trust opaco e trasparente. Qui il nodo centrale è la presenza di beneficiari “individuati”, ossia titolari di un diritto attuale ed esigibile a ricevere i redditi prodotti dal trust. Se tale diritto sussiste, il trust viene considerato trasparente, con imputazione diretta dei redditi ai beneficiari.
Dall’analisi dell’atto costitutivo, l’Agenzia ha rilevato alcuni elementi decisivi: alla morte del disponente, l’intero patrimonio residuo doveva essere distribuito ai beneficiari secondo percentuali già fissate, ciascun beneficiario avrebbe ricevuto una quota ben definita (un quarto dell’84% del patrimonio complessivo), e il trustee poteva solo differire nel tempo la distribuzione, ma non modificarne la misura né decidere se distribuirla.
In altre parole, non vi era alcuna discrezionalità sull’an né sul quantum delle attribuzioni.

Le conclusioni dell’Agenzia.
Alla luce di queste considerazioni, l’Agenzia ha concluso che il trust è trasparente ai fini fiscali italiani. I beneficiari italiani hanno un diritto pieno e attuale alle somme, che li qualifica come beneficiari “individuati”. I redditi devono quindi essere dichiarati direttamente dai beneficiari, seguendo le istruzioni fornite nelle circolari n. 34/2022 e n. 38/2013. La tassazione avviene dunque in modo diverso rispetto agli Stati Uniti, dove invece i redditi restano a carico del trust stesso.

Implicazioni pratiche per i professionisti.
Questo caso evidenzia alcuni spunti operativi per chi assiste clienti con trust esteri: non sempre la qualificazione attribuita dal Paese di origine coincide con quella italiana, la documentazione contrattuale del trust è fondamentale, e l’assenza di poteri di ingerenza da parte dei beneficiari è cruciale per escludere l’interposizione.

Considerazioni finali.
La risposta n. 239/2025 conferma l’approccio sostanzialistico dell’Agenzia delle Entrate: ciò che conta non è solo la forma giuridica, ma soprattutto la concreta configurazione dei rapporti tra trustee e beneficiari. In questo caso, l’Agenzia ha riconosciuto la piena autonomia del trust, escludendo l’interposizione, ma ha al tempo stesso imposto la trasparenza fiscale, con tassazione diretta in capo ai beneficiari italiani.

Leggi la risposta completa dell’Agenzia delle Entrate.