La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8519 del 1° aprile 2025, ha chiarito che un figlio nato fuori dal matrimonio, già riconoscibile al momento di apertura della successione del genitore defunto, può interrompere l’usucapione dei beni ereditari, senza dovere attendere il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la sua qualità. Ai fini della idoneità dell’atto interruttivo del possesso, non si richiede l’avvenuto acquisto della qualità di erede da parte del figlio, essendo sufficiente l’interesse di quest’ultimo alla conservazione dei beni ereditari.
L’azione volta al riconoscimento di maternità o paternità non è soggetta a prescrizione, ha efficacia retroattiva fin dalla nascita ed attribuisce al figlio nato fuori dal matrimonio la qualifica di erede legittimo.
Il caso in esame ha origine da una controversia tra alcuni eredi e dei soggetti terzi che rivendicavano diritti ereditari sul patrimonio di un defunto. Il ricorrente, dopo aver ottenuto, con una sentenza del 2012, l’accertamento della propria qualità di figlio del de cuius, aveva chiamato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Venezia, i di lui eredi. L’accertamento del rapporto di filiazione avrebbe quindi dovuto comportare la revocazione del testamento con il quale il genitore aveva istituito erede la sorella e la conseguente apertura della successione legittima in suo favore quale unico erede. La revocazione del testamento era stata inizialmente riconosciuta dal Tribunale di Venezia, negata in secondo grado ed infine accertata dalla Corte d’appello in sede di rinvio, con sentenza del 2021. Tale sentenza riconosceva l’esistenza dei presupposti della revocazione, in applicazione del principio di diritto stabilito dalla sentenza n. 13680/2019 della Suprema Corte. L’art. 687 c.c. risulta infatti applicabile anche quando l’accertamento giudiziale della filiazione sia compiuto nei confronti di un soggetto che abbia testato nella consapevolezza di avere già un figlio. Il giudice di rinvio dichiarava quindi la revocazione del testamento del de cuius e la conseguente apertura della successione legittima a favore del figlio naturale, unico erede ex lege (nel frattempo deceduto e sostituito in giudizio dai suoi eredi). Gli appellanti evidenziavano un’inerzia protratta per un tempo così lungo da vanificare la volontà del figlio di non venire alla successione paterna. Tuttavia, prima dell’accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale della paternità, il ricorrente non avrebbe potuto svolgere alcuna azione per far valere i propri diritti successori. I giudici negavano quindi che i fratelli potessero aspirare a far salvo il loro acquisto ai sensi dell’art. 534, commi 2 e 3, c.c. o ai sensi dell’art. 2652 n. 7 c.c., mancando, nei vari passaggi, un trasferimento a titolo oneroso: il che, secondo la corte di rinvio, rendeva incondizionatamente fondata la pretesa rivolta dall’erede nei loro confronti, legittimati passivi rispetto alla petizione in quanto aventi causa da chi ha posseduto a titolo di erede. La Corte d’appello negava infine la sussistenza, in favore dei fratelli, dei presupposti per l’usucapione dei beni ereditari richiamando precedenti di legittimità in base ai quali non si poteva configurare possesso utile per l’usucapione fino a quando il titolare effettivo non avesse avuto la possibilità giuridica di interromperlo, ciò che nella specie era avvenuto solo in concomitanza del passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato la paternità naturale. Contro tale sentenza gli appellanti proponevano ricorso per cassazione.
La Suprema Corte, nel suo giudizio, prima di giungere alle proprie conclusioni, ha distinto il principio di diritto di accettare l’eredità, che si concretizza solo dopo la dichiarazione giudiziale di filiazione, dal potere di compiere atti interruttivi della prescrizione acquisitiva o estintiva relativi ai beni ereditari, che invece può essere esercitato anche prima. In virtù dell’efficacia retroattiva della dichiarazione giudiziale di filiazione. Già a partire dalla morte del genitore sussiste in capo al figlio naturale l’interesse alla conservazione del patrimonio ereditario. Il tempo necessario per l’accertamento della filiazione non può ledere i diritti patrimoniali del figlio nato fuori dal matrimonio. La Suprema Corte conclude enunciando il seguente principio di diritto «Il figlio del de cuius nato fuori dal matrimonio, già riconoscibile secondo la legge vigente al tempo di apertura della successione, ha il potere di interrompere l’usucapione dei beni ereditari, senza dovere attendere il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione. Infatti, ai fini della idoneità dell’atto interruttivo del possesso ad usucapionem di un bene ereditario, non si richiede l’avvenuto acquisto della qualità di erede da parte del figlio, essendo sufficiente l’interesse alla conservazione del patrimonio ereditario, interesse che, nella situazione di cui sopra, sussiste già a partire dalla morte del genitore».
A cura di Marianna Canetti Florenzi Serafini – Procuratore di Galvani Fiduciaria